concorso truccato

Pubblicato il da concorsitruccati

Una sentenza che fa discutere

Nel 2005 alcuni candidati di un concorso interno del Comune di Catania, in considerazione di alcuni illeciti nell’espletamento, avevano proposto ricorso al T.A.R. di Catania per vedere riconosciute le proprie ragioni ed ottenere conseguentemente l’annullamento del concorso.

Il ricorso è stato rigettato dalla 2^ Sezione del T.A.R. di Catania con la sentenza n. 131/2011, consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa.

Abbiamo letto questa sentenza e ci è apparso anomalo il dipanarsi dell’intera vicenda. Il ricorso (n. 1181/05) era stato originariamente incardinato presso la 4^ Sezione del T.A.R. di Catania il cui collegio giudicante era costituito dal Consigliere Francesco Brugaletta, dal Consigliere Ettore Leotta e dal Presidente Relatore Biagio Campanella, noto per le sentenze che hanno evitato la radiazione del Calcio Catania tenendo testa alla F. I. G. C..

Ed è stato il Presidente Campanella, con Ordinanza n. 200 del 18/05/2006, a trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica con queste motivazioni: il Tar “ … ritenuto – d’altra parte – che alcuni dei fatti esposti in ricorso potrebbero concretare degli illeciti penali, per cui si ritiene opportuno inviare i relativi atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania”.

A seguito di ciò la Procura apriva il procedimento n. 11468/06 R.G.N.R..

Ad un certo punto il ricorso veniva tolto alla 4^ Sezione e passato alla 2^ Sezione composta dai giudici Filippo Giamportone Presidente, Francesco Brugaletta Consigliere, Diego Spampinato Referendario Estensore.

L’operato di questo collegio ci è apparso contraddittorio e irrazionale.

Eccone alcuni motivi.

Il Collegio, nell’udienza pubblica del 24 marzo 2010 poteva andare in decisione, ma in considerazione del fatto che i ricorrenti avevano presentato ulteriori documenti con i quali si evidenziavano altri illeciti anche di natura penale, ha disposto, con apposita ordinanza, una ulteriore integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i controinteressati con questa motivazione “… ritenuto che – potendo il giudizio, in ipotesi, portare all’annullamento della graduatoria del percorso – debba essere integrato il contraddittorio rispetto a tutti i soggetti utilmente collocati in graduatoria …”.

L’avvenuta integrazione del contraddittorio, di fatto, non aggiungeva nulla al corpo della causa, ma serviva soltanto a notificare formalmente ai controinteressati l’impugnazione della graduatoria definitiva.

Gli atti difensivi dei controinteressati costituitisi successivamente all’ordinanza non avevano introdotto nuove eccezioni o deduzioni e comunque quelle proposte non sono state accolte con la sentenza del 24 marzo 2010.

Praticamente sono risultati inutili gli atti difensivi presentati dai contro interessati.

Nonostante ciò dopo qualche mese il Collegio rigettava il ricorso.

In proposito si fanno osservare alcune cose: l’udienza del 24/03/10 era pubblica e quindi il ricorso poteva andare in decisione ed in considerazione delle motivazioni che imponevano l’integrazione del contraddittorio (…potendo il giudizio, in ipotesi, portare all’annullamento della graduatoria del percorso…) una eventuale sentenza non poteva che accogliere il ricorso ed annullare il concorso truccato; fra l’udienza del 24/03/2010 e quella 17/11/2010 dal punto di vista pratico non aveva portato nulla di nuovo; fra l’udienza del 24/03/2010 e l’ultima del 17/11/2010 il Collegio non era cambiato ed era composto dai medesimi magistrati che quindi conoscevano bene tutti gli aspetti del ricorso;.

Ma allora, considerato quanto detto prima, perché il Collegio non è andato in decisione nell’udienza del 24/02/2010?

Dal che deriva la contraddittorietà dell’operato del Collegio, che ha impegnato inutilmente i ricorrenti in una attività processuale estenuante ed oltremodo costosa.

Alla luce di quanto raccontato vorremmo che il Collegio giudicante rispondesse a questa domanda: cosa è accaduto fra la penultima l’ultima e udienza?

Altra svista (!?!?) del Collegio è stata la mancata lettura – a volere essere benevoli - degli atti.

Il presidente della commissione giudicatrice del concorso, ing. Salvatore Troia, indagato nell’ambito del procedimento penale sopra richiamato, nel 2004 non era funzionario facente parte dell’organico dell’Amministrazione Comunale, ma era un dirigente incaricato con apposita Delibera della Giunta Municipale ed il suo mandato scadeva il 31/12/2004. Il 21/01/2005 la Giunta con Delibera n. 45 gli rinnovava l’incarico. Il Provvedimento porta in calce il seguente testo: “ La G.M. preso in esame il superiore atto, nella seduta dell’8/02/2005, determina di rettificare la decorrenza dell’incarico che deve intendersi dalla data di adozione ( 21/01/2005) dell’atto medesimo …”.

Praticamente l’ing. Salvatore Troia nel lasso di tempo che va dal 01/01/2005 al 20/01/2005, quindi nel pieno svolgimento del concorso, era un semplice cittadino che nulla aveva a che fare con l’Amministrazione Comunale, ma nonostante ciò questo signore, come presidente della Commissione esaminatrice nei venti giorni di vacanza dell’incarico, ha continuato a produrre atti, di fatto nulli, e a firmarli(?!?!).

La sentenza di cui parliamo invece, afferma che “ …  dalla deliberazione della Giunta Municipale n. 45 del 21 gennaio 2005, con cui è stato prorogato al Presidente della commissione, sino al 31 dicembre 2005, l’incarico dirigenziale originariamente attribuitogli fino al 31 dicembre 2004, risulta che l’incarico è stato prorogato con decorrenza dal 1 gennaio 2005.”.

Ogni commento ci risulta difficile, anche perché un giudice del T.A.R., a nostro avviso, non può incorrere in tali sviste anzi doppie sviste perché, ad essere benevoli, non ha letto bene questo documento, ma, cosa ancora più grave per noi e sempre a voler essere benevoli, non ha letto neppure la memoria dei ricorrenti in cui veniva specificatamente fatto notare che nella delibera di Giunta Municipale era stato riportato chiaramente che l’incarico dell’ing. Troia decorreva dal 21/01/2005.

Alla luce di quanto accaduto (sviste, doppie sviste, non lettura degli atti, ecc. ecc.) cosa dobbiamo pensare dei Giudici Filippo Giamportone, Francesco Brugaletta e Diego Spampinato?

Ed ancora.

Su come doveva andare il ricorso di cui stiamo trattando lo faceva capire subito il presidente Filippo Giamportone nell’ultima udienza pubblica del 17/11/2010 quando in apertura della discussione preliminarmente chiedeva agli avvocati se la magistratura penale avesse emesso delle sentenze in merito ai fatti illeciti emersi durante i dibattimenti passati. Successivamente, dopo aver saputo che le indagini erano ancora in corso (la Procura della Repubblica di Catania non fa certo una bella figura che dopo 5 anni ancora le indagini non sono concluse), faceva rilevare che gli episodi di rilevanza penale spettano alla Magistratura Penale, in ragione dei diversi scopi istituzionali, mentre il giudice amministrativo doveva occuparsi della materia a lui spettante e quindi non può accertare la commissione di reati.

Ora che spetti al giudice penale e non a quello amministrativo l’accertamento dei reati è affermazione scontata. Però che la valutazione di comportamenti dell’Amministrazione, usciti dai limiti della legalità e passati nell’evidente illiceità devono essere accertati solo dal giudice penale ci pare una affermazione quantomeno impropria anche in considerazione che il T.A.R. stesso con l’Ordinanza n.200 del 18/05/2006, aveva trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica avendo rilevato degli illeciti penali.

Facciamo un esempio. In un pubblico concorso un candidato, con la complicità della commissione esaminatrice che suggerisce i nomi, fa fuori tutti i concorrenti che lo precedono nella selezione e vince il concorso. Se per caso un candidato, superstite e coraggioso, fa ricorso al T.A.R. sostenendo che ci sono stati degli illeciti e gli capita il collegio giudicante formato dai Giudici Filippo Giamportone, Francesco Brugaletta e Diego Spampinato, vedrà il suo ricorso rigettato, anche se il vincitore ed i commissari si trovano in carcere ma ancora non giudicati, in considerazione del fatto che il T.A.R. non può entrare nel merito degli illeciti penali anche se evidenti ed eclatanti “in ragione dei diversi scopi istituzionali che sorreggono la sua funzione”.

 

Per ultimo si riporta una frase del dispositivo della sentenza che dal punto di vista giuridico facciamo fatica a comprendere: “Resta salva la possibilità per l’Amministrazione, sussistendone i presupposti, di adottare provvedimenti in autotutela anche nei confronti di altri concorrenti.”

Questa frase, dal punto di vista pratico e non giuridico potrebbe essere interpretata in questo modo:

Cara Amministrazione Comunale, noi giudici del T.A.R. abbiamo fatto il possibile e soprattutto l’impossibile per non annullare questo concorso, ma le schifezze riscontrate sono tante e tali che qualche cosa dobbiamo pur dirla. Quindi, se lo ritenete proprio opportuno e necessario, ma non siete obbligati farlo, potete escludere dai vincitori qualcuno che dai fatti emersi supportati da ampia documentazione è risultato non aver neppure superato la prova scritta e che ora percepisce uno stipendio che non gli appartiene o qualcun altro il cui giudizio scritto sul compito è stato  “9 e zitto!” (n.d.r. il punto esclamativo fa parte del giudizio) o altri che hanno avuto corretti i voti al rialzo in modo tale da scavalcare altri e quindi vincere il concorso.

Ma l’Amministrazione anche di fronte a questo non ha battuto ciglio continuando ad elargire, di fatto, stipendi non dovuti ai titolari dei “compiti schifezze” e a chi è andato o andrà nel frattempo in quiescenza lo Stato dispensa e dispenserà una pensione non del tutto spettante.

Alla luce di quanto riportato, la domanda sorge spontanea:

Il comportamento dei giudici del T.A.R. è stato un comportamento legittimo?

Nel frattempo i vincitori del concorso truccato ringraziano.

Arianuova

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